Un ritrovamento inaspettato ha riportato alla luce un frammento di storia rimasto sepolto per quasi sessant’anni. Durante i recenti lavori di ristrutturazione della chiesetta campestre di Santa Marina, a Villanovaforru, alcuni operai hanno rinvenuto una bottiglia murata all’interno di una parete. Al suo interno, una lettera datata novembre 1965, scritta dal capocantiere Silvestro Pistis, che insieme ad altri manovali – tra cui il figlio Ulderico, allora tredicenne – contribuì al restauro dell’edificio sacro. “È stata una sorpresa, non me lo sarei mai immaginato”, racconta Ulderico Pistis, oggi unica persona ancora in vita tra coloro che presero parte a quei lavori. “Un mio amico mi ha chiamato qualche giorno fa, dicendomi che avevano ritrovato questa bottiglia e inviandomi la fotocopia di quanto trovato al suo interno”. Ancora prima di leggere il contenuto, ho capito subito che si trattasse di un qualcosa scritto da mio padre”. La lettera riporta i nomi dei lavoratori che parteciparono alla ristrutturazione, oltre a quelli del sindaco dell’epoca e dell’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. Un dettaglio che ha suscitato la curiosità di molti: “Probabilmente lo ha citato per datare meglio il periodo, ma anche perché Saragat aveva origini sarde”, afferma Ulderico. Un gesto del tutto inaspettato per il figlio, un segreto che non è mai trapelato: “Non era da lui fare queste cose. Credo che abbia voluto lasciare un segno, pensando a quando, chissà tra quanti anni, la chiesa sarebbe stata ristrutturata di nuovo. Eppure eccoci qui, dopo quasi sessant’anni. Mio padre, tra l’altro, è morto quattro anni dopo averla scritta”, spiega. La chiesetta di Santa Marina, situata a 500 metri dall’abitato, è un luogo di profonda devozione per la comunità. La santa, venerata anche in Spagna, è l’unica con questo nome festeggiata in Sardegna e probabilmente in tutta Italia. Ogni anno, la popolazione la celebra due volte: il giorno di Pasquetta e il 17 luglio. Quel messaggio, rimasto nascosto per decenni, ha riaperto un dialogo tra passato e presente, restituendo a Ulderico non solo un ricordo del padre, ma anche la testimonianza di un’epoca e di una comunità che, attraverso la memoria, continua a vivere.