Con un processo iniziato in sordina già negli anni ‘80, e ai tempi probabilmente sottovalutato, tra basi preregistrate, playbacks, loop stations, autotune, largo uso di sequencers e altre diavolerie elettroniche, per non dire delle melodie vocali che praticamente stanno scomparendo, sostituite da parlati ritmici spesso molto simili a se stessi e che lasciano ben poco spazio all’espressività, sembra proprio che pop, rock, blues, reggae, progressive, e in generale i generi musicali che hanno cresciuto generazioni di fruitori dalla seconda metà del secolo scorso in poi, siano destinati a scomparire dal panorama della musica dal vivo.
Ma sarà poi vero?
O forse la sfida del futuro per la musica live è diventare un anello più importante nella catena dell’evoluzione del genere umano?
E come?
Per esempio, cedendo ad altre forme di spettacolo musicale la funzione di mero intrattenimento e focalizzandosi maggiormente sulla propria valenza socio-culturale, di incontro tra culture diverse appunto, e quindi di interazione tra differenti estrazioni sociali ed etniche. Senza per questo rinunciare alla sua forza di coinvolgimento anche fisico, che trova nella danza e nel ballo la propria dimensione ludica, ma al tempo stesso creativa, una creatività corale, frutto della somma delle differenti individualità.
Ma allora cosa manca alla nostra musica dal vivo per potersi affrancare definitivamente dal tunnel del divertimento fine a sé stesso e assumere un ruolo attivo, riconoscibile e riconosciuto, nella produzione di cultura contemporanea?
Forse proprio un repertorio di classici, al quale possa essere accordata dignità storica.
Così come è da sempre per altre arti sceniche come il teatro, la lirica e la concertistica, che possono attingere, e trarre ispirazione e forza dal proprio repertorio classico, da Shakespeare a Goldoni, da Verdi a Rossini, da Beethoven a Čajkovskij, senza perdere credibilità e generando un humus fondamentale per poter innovare e sperimentare, mantenendo il contatto e la continuità con la propria storia e con la propria evoluzione.
Ma se focalizziamo la nostra attenzione sui generi protagonisti della grande rivoluzione che ha investito la musica popolare dalla seconda metà del secolo scorso fino a oggi, come pop, rock, blues, reggae, progressive, ci rendiamo conto che queste musiche faticano ad avere un riconoscimento culturale e storico.
Eppure, questi stili hanno plasmato e influenzato in maniera viscerale intere generazioni, trasformando l’evento live in rito collettivo e creando una nuova e accresciuta sensibilità musicale, fondamentale ad esempio per la spinta verso la ricerca di una musica di “testa”, oltreché di “pancia”, spinta che ha prodotto la grande crescita del jazz, il quale, nato come musica da ballo nei primi decenni del XX secolo, ha dato sempre più spazio all’improvvisazione, per arrivare alle estreme conseguenze con il free jazz, improvvisazione pura, e quindi sinonimo di libertà, sia formale che culturale.
Nonostante tutto ciò, la musica dal vivo di qualità trova sempre più difficoltà a reperire spazi e contesti nei quali esprimere il proprio spirito critico e crescere, mentre l’onere di riempire stadi, piazzali e arene sembra irrimediabilmente delegato ad altri fenomeni, sempre più televisivi e meno live, sempre più usa e getta, sempre più innocui.
Il racconto
Si tratta di un viaggio attraverso la storia della musica, dalla rivoluzione degli anni ‘60 e la conseguente nascita di tutte le nuove espressioni e stili che hanno così profondamente influenzato la musica per oltre mezzo secolo.
Semplificando, potremmo dire che siamo tutti “figli del blues”, e che l’incontro di quest’ultimo con le diverse tradizioni musicali confluite negli USA attraverso i fenomeni migratori ha generato un’infinità di nuove suggestioni musicali, esplose dalla seconda metà degli anni ‘60 in poi, creando un continuo flusso di tendenze e ispirazioni reciproche tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra, che ancora oggi dovrebbe essere riconosciuta come la base fondamentale della cultura musicale universale.
All’inizio fu il Rock’n Roll con il fenomeno di Elvis Presley a mostrare la via, quella che portò ai fenomeni futuri negli USA, e che da lì sbarcò poi nel resto del mondo generando la rivoluzione rock e pop britannica.
Mentre i Rolling Stones cantavano “ I know, it’s only Rock’n Roll but I like it”, un vero e proprio terremoto era ormai esploso. USA e UK continuavano ad influenzarsi a vicenda creando nuove tendenze e nuovi stili con una velocità impressionante.
Era il tempo del Rock, del Beat, del Garage, del Funk, della Pscichedelia, dell’Hard Rock, dell’Heavy Metal, del Prog, del Punk, del Reggae, del Pop, della New Wave, del Pop Swing ecc.
Questi fenomeni rappresentano tutt’oggi i riferimenti imprescindibili per la musica e certamente quanto di più coinvolgente, emozionante e istruttivo per qualsiasi evento dal vivo. Si tratta della nostra cultura moderna alla quale persino i fenomeni più nuovi (pensiamo alle musiche che accompagnano molti videogames o le basi di parecchi “You-tuber” adolescenti), fanno decisamente riferimento.
Molte di queste icone della musica non si esibiscono più, alcuni “hanno lasciato il palazzo”, altri si vedono ormai di rado, così come alcune band hanno vissuto solo il tempo sufficiente per contribuire a cambiare il mondo della musica in maniera profonda.
I duri e puri del Rock/Blues
Mentre il fenomeno musicale dei Beatles impazzava, i segni evidenti delle rivoluzioni musicali si mostravano chiari nelle due facce dell’Atlantico. In Inghilterra, direttamente connessi al rock/blues delle origini, spopolavano i mitici The Animals, una delle band di punta della prima British invasion, rappresentante di quel British Blues che attingeva a piene mani dalla tradizione americana fornendo le basi allo stile inconfondibile che determinò il rock e il pop britannico di quegli anni. Riconoscibili per la genuina anima blues e per la voce graffiante e potente di Eric Burdon, incastonata nella immortale “The house of the rising sun”.
Dall’altra parte dell’oceano negli stessi anni un’altra grande voce inconfondibile per un’altra iconica band percorreva strade simili: si tratta dei fondamentali Creedence Clearwater Revival, oggi codificabili all’interno della grande famiglia del country/rock, ma ai tempi punta di diamante dello swamp rock, la musica delle paludi, dura nell’approccio musicale e realistica nei testi, in contrasto con la Psichedelia della “Summer Of Love” delle jam bands della West-Coast, come Grateful Dead, Jefferson Airplane, Allman Brothers o Lynyrd Skynyrd.
I Creedence, guidati dal grande John Fogerty, hanno scritto pagine indelebili della storia della musica mondiale: da “Proud Mary”, uno dei brani in assoluto più “coverizzati” al mondo, a “Fortunate son”, “Have you ever seen
the rain?”, “Bad moon rising”. Una band che ha saputo esprimere il sentimento di una generazione. La loro musica, compatta nel sound, orecchiabile e incisiva, li ha resi uno dei gruppi più amati dell’epoca.
Le icone del soul e del pop
Stevie Wonder, con la sua voce inconfondibile e il suo talento poliedrico e precoce, ha rivoluzionato la musica soul e pop. Album come “Songs in the Key of Life” hanno mescolato elementi di funk, jazz e R&B, creando un sound unico e innovativo. La sua capacità di affrontare temi sociali e personali attraverso la musica ha reso le sue canzoni senza tempo. Una produzione infinita che caratterizza i repertori di migliaia di artisti della scena soul, black, funk, jazz, pop ecc.
Mentre Michael Jackson ha ridefinito, assieme al suo mentore Quincy Jones, il concetto stesso di pop. Con il suo album “Thriller”, ha raggiunto vette ineguagliabili, diventando il re indiscusso della musica pop. La sua abilità nel mescolare generi, unita a coreografie iconiche e video musicali innovativi, ha cambiato per sempre il panorama musicale. Jackson ha saputo catturare l’immaginazione del pubblico, affrontando temi di amore, solitudine e giustizia sociale.
I ribelli del Rock
Alla fine degli anni ‘70, il rock ha trovato la sua voce più cruda nel Punk, attraverso band inglesi come Clash, Sex Pistols, Damned o gli americani Ramones, che hanno incarnato lo
spirito ribelle tra gli anni ‘70 e ‘80.
Probabilmente i più importanti restano i Clash, i quali con il loro mix di punk e reggae, hanno affrontato questioni politiche e sociali, diventando simbolo di una generazione disillusa. Il loro album “London Calling” è considerato uno dei migliori dischi di tutti i tempi, grazie alla sua capacità di mescolare stili e messaggi.
Un altro grande trio inglese del punk rock sono stati i Jam di Paul Weller. Forse più ordinati nella costruzione musicale, ma non meno rock nell’approccio, The Jam hanno portato un suono più mod e melodico, con testi che riflettevano la vita quotidiana e le esperienze giovanili. La loro musica ha catturato l’essenza della cultura britannica, rendendoli uno dei gruppi più influenti del loro tempo.
La musica dal vivo è destinata a scomparire?
Tornando alla domanda del titolo, se la musica dal vivo continuerà ad avere un ruolo primario nelle nostre vite, o se invece è veramente destinata a scomparire, possiamo concludere dicendo che per quanto i segnali di pericolo siano visibili a occhio nudo, la partita è ancora tutta da giocare ed in questa fase particolarmente delicata è fondamentale avere chiaro da che parte del campo si vuole stare.
Alberto Sanna